Diario di Don G. B. M. Boria, cappellano militare del Btg. Gemona e futuro parroco di Pontebba.

 

E mentre don Beorchia scriveva questi ricordi, il suo futuro successore don G. B. M. Boria: cappellano militare, veniva destinato al fronte della Val Dogna, ecco la sua testimonianza:

 

“””Il 28 luglio su proposta del Colonnello Grandi Comandante dell’ 8° Alpini accettavo il posto di Cappellano militare del battaglione Gemona, ringraziando i privilegi della 3a  Categoria e partivo per raggiungere il Battaglione in linea nella Val Dogna, ove questi proprio quel giorno vinceva il suo più bel fatto d’arme, la presa del Cianalot  (28 luglio 1915).

 

Cappellano Militare

 

Il fronte

Raggiunto il battaglione al rio Bianco il 4 agosto 1915 non lo abbandonai più se non ne fui violentemente separato da esso in prigionia. Vi esercitai tutto il ministero sacerdotale di cui ne ero capace raccogliendo grandi conforti spirituali. Quelli mi sembrano gli anni miei più pieni, in quanto che i miei soldati  corrisposero abbondantemente allo zelo del cappellano. Non ho detto mai male dei miei soldati, né ho dubitato mai dell’efficacia del ministero sacerdotale per essi. Le principali branche dell’attività del cappellano nel suo reparto erano: 1) l’assistenza religiosa colla celebrazione della S:Messa e delle altre funzioni per tutti ed ovunque colla predicazione quotidiana, nella Confessione e Comunione portata alla comodità di tutti anche nei posti più pericolosi, col riparare alle negligenze passate, dall’istruzione religiosa, dalla Ia Comunione alla Cresima coll’assistenza ai feriti ed ai moribondi; 2) l’assistenza civile dei soldati (distribuzione  indumenti, libri, ufficio notizie, un po’ di scuola a modello serale, ecc.).

 

In trincea

Attesi a tutte queste  opere di assistenza spirituale e civile, con tutte le mie forze per vent’otto mesi consecutivi girando di giorno in giorno per le varie compagnie nel 1915, di plotone in plotone nel 1916 e di squadra in squadra nel 1917, a seconda che le vicissitudini e consuetudini belliche vennero a frazionare, a disciplinare, ad immobilizzare quasi i singoli uomini alle quote, alle trincee, alle feritoie singole, senza permettere loro il minimo spostamento. Tenevo la sede presso il Comando di Battaglione a Spadovai, punto quasi frontale della nuova linea frontale presidiata dal Rio Bianco  e per le vette dei due Pizzi, Pipar, Mittagskofel,  Karnizza, Kopfach, alla Cima verde del Montasio. La linea di fuoco, lungo la quale erano distribuiti per plotoni e squadre le compagnie, distav in media due ore di aspra salita  dal fondo valle del Spadovai, né la linea si poteva percorrere tutta intorno in alto, ma per passare dalla posizione di una compagnia alla posizione di un’altra si doveva scendere ai Spadovai per poi risalire d’altra parte. Tutto ciò mi portava grande fatica fisica e grande perditempo. Dapprincipio approfittai della cortesia dei Sigg. Ufficiali di Compagnia che mi offrirono di gran cuore ospitalità nella loro tenda o nei loro rifugi e mi fermavo presso ogni compagnia circa una settimana celebrando e confessando ogni mattina presso i singoli plotoni  in linea, discendendo la domenica a celebrare al centro Spadovai e risalendo il lunedì presso un’altra compagnia e così di seguito. Ma nel 1916 questo non mi fu più possibile per le ristrettezze degli alloggi e per … la raffreddata carità ospitale e salivo e scendevo ogni giorno dal fondo valle alle cime. Partivo digiuno all’alba accompagnato dall’ottimo attendente Alberto Di Giusto da Caporiacco che portava a spalle l’altarino e camminando lo portava subito alle trincee ov’ero sempre “aspettato in festa”, celebravo la S. Messa all’altare preparato con cura dagli stessi soldati, predicavo, visitavo poi tutti ai loro posti e me ritornavo al pomeriggio a Spadovai. Nel tempo pasquale attendevo a confessarli nelle gallerie fino a tardi affinché venissero con loro comodo, ed al mattino seguente ricomparivo loro con le S. Particole contate, portate come il S. Viatico,  da Spadovai, li comunicavo e passavo all’altra trincea vicina per celebrare predicare confessare e via di seguito. In questo modo io visitavo tutti i miei soldati nel ciclo di un mese. Durante i tre mesi del più orrido inverno però potevo arrivarci più raramente e per alcuni posti sospesi negli abissi delle nevi del Montasio rimettevo la visita in primavera. Soldati ed ufficiali  corrispondevano assistendo sempre e tutti alla S. Messa ed alla predica, confessandosi numerosi, zelando assieme al Cappellano la buona riuscita della sua visita. Era come una gara fra i singoli plotoni ed i piccoli posti di difesa nel preparare l’altare infiorato ed in più luoghi si edificavano vere e proprie cappelette.

 

Cappelle

Un primo altare di forme addirittura basilicali, col realistico Baldacchino, fu costruito in  pietra ben quadrata presso il comando  di Spadovai. La prima cappellina fu benedetta al Mittagskofel,  la seconda al Pizzo Orientale dedicata a S. Leopoldo, la IIIa tutta in legno con qualche pretesa architettonica  e riportante nella facciata le linee del duomo di Gemona, lunga ben 16 metri, fu edificata a Spadovai e benedetta da Mons. Belio  Abate di Moggio e delegato del Vescovo da Campo (fu dedicata alla B.V. del  Lussari in riparazione della distruzione di quel Santuario. Ma essendo questa troppo grande e troppo scomoda fu requisita come magazzino; ed il Sig. maggiore Del Negri nel 1916 fece costruire un’altra cappellina in cemento che venne solennemente benedetta dal Mons. Antonio Anastasio Rossi, arcivescovo di Udine e dedicata a “Maria Aurora Pacis” il 30 ottobre 1916. Questa venne dotata di apparati e di arredi come una vera chiesa dalle contesse Maria e Elisa De Puppi di Udine con un tabernacolo, una bella pala in rame sbalzato, due campanine, ecc.. Nelle domeniche oltre la S. Messa ci si dava al pomeriggio anche la Benedizione col S.Simo.

 

Affluenza ai Sacramenti

A conclusione di tutto questo aggiungo che nei mesi di settembre e ottobre 1915 confessai quasi tutti i soldati del battaglione e cioè circa mille uomini. Nella Pasqua del 1916 confessai circa 1200 uomini fra alpini, artiglieri, bersaglieri e fanti distribuiti nel mio fronte; e nella Pasqua 1917 solo circa 800 uomini si confessarono, perché influiva la stanchezza della guerra ed il raffredamento generale del primo fervore.

 

Biblioteca

Nell’inverno del 1916 acquistai ben 1000 volumi di ammessa lettura  per costruire una biblioteca da campo che distribuii in 20 cassette facilmente argomento vario: Religione, Apologetica, Storia, Letteratura romantica, Scienze naturali, e formava una biblioteca completa. Fu un lavoro ben lungo vagliare tutte quelle pagine, foderare di carta forte ogni volume, ordinarli ed elencarli in ogni cassetta. Ma fu un trionfo quando spedii le cassette, una per plotone in trincea! Le cassette avrebbero potuto e dovuto scambiarsi di plotone in plotone perché tutte le cassette erano differenti e pochissimi i volumi ripetuti;  ma i soldati a dire il vero non ne approfittarono molto, perché pochi amavano leggere. La biblioteca andò poi dispersa nella ritirata del 1917.

 

Scuola serale

Nell’inverno 1917 invece attesi, con passione sempre per  ripicca  all’ostilità che ebbe per la cosa il Magg. De Negri, ad una specie di scuola serale per i soldati. Se ne iscrissero  una ventina e finirono col frequentandola una dozzina; ma la cosa non ebbe altro valore ed efficacia, che quella  forse di dimostrare la buona volontà e lo spirito del Sacerdote cattolico, che non trascurava nessuna  occasione ed espediente per il bene. A me poi importava assai  dare il buon esempio di laboriosità e di mostrare che il Cappellano rendeva al suo posto quanto ogni altro ufficiale soldato al loro.

 

I confratelli

Passo a ricordare i miei più cari confratelli che mi furono vicini e compagni di lavoro apostolico: Padre Domenico Orioli, Cappuccino del battaglione Val Fella, Padre Giustino Farbizza del Battaglione Carnia, Padre Adolfo Paletti del 16°    Artiglieria d’Assedio, Don Achille Benedetti Cappellano sezione Sanità, don Farinetti del battaglione Mondovì, e tanti altri validissimi confratelli che si edificavano col loro zelo, e la loro pietà, specialmente nei Ritiri Mensili che facevamo di or qua or là nella vallata.

 

I Superiori

Ricordo i miei migliori Superiori ed Ufficiali: Colonnello Salvioni, Colonnello de Negri, Col. Sansoni, tutti comandanti del battaglione, Cap. Da Col, Cap. Mazzoli, Cap. Caloria, Tenenti Mansutti, Franchini, Bernardinis, Padovan, Perin … I Dottori Bestini, Rossi Doria Castaldi, Zanetti. Col Capitano Rossi Doria di Roma ebbi molte discussioni filosofiche religiose e politiche ma ci amammo intensamente come padre e figlio. Con quasi tutti gli ufficiali ebbi sempre i migliori rapporti sebbene a qualcuno sembrassi troppo intransigente e sostenuto perché non accettavo da da nessuno il tu ed esigevo sempre il lei . Ma esso mi sembrava necessario per la mia dignità di sacerdote e per il prestigio di fronte a tutti, Ufficiali e Soldati. Alla visita di Mons. Arcivescovo di Udine al Pian dei Spadovai ebbi la consolazione di fargli amministrare solennemente la S. Cresima davanti a Generali, Colonnelli e Compagnie convenute ben a sette ufficiali ed a cinque soldati.

 

Dal Diario di Don G.B.M. Boria:

 Fatti d’arme

Sebbene tutta la vita in trincea possa considerarsi un unico fatto d’arme, perché la vita era sempre in estremo pericolo ed ogni giorno v’erano feriti e morti, tuttavia quattro sono i principali fatti d’arme cui presi parte coi miei soldati:

I°) la difesa della Sella Sompdogna che costò tre giorni di aspro combattimento (22/23/24 ottobre 1915) con 22 morti ed un cento feriti dei nostri, 500 (cinquecento) morti e non si sa quanti feriti nemici e la vittoria completa degli italiani. Io attendevo ai feriti nel punto di confluenza di tutte le strade scendenti dai fronti assieme ad un dottore ferrarese di cui mi sfugge il nome (Ferrari?).

2°) La riconquista del Gelbe Wand da noi abbandonato per il rigore della stagione al principio dell’inverno e ripreso il 19 marzo 1916 senza vittime nostre e poche nemiche.

3°) Il disastroso attacco allo Schwarzenberg nei giorni 16/17/18 luglio 1916, che fu conquistato e poi si dovette subito abbandonare e che ci costò circa 100 morti e dispersi e 200 feriti. Io vi partecipai in linea di combattimento assieme ai feriti che rientravano dall’assalto, ma il colonnello non mi permise di raggiungerli dove ardeva il combattimento, sebbene lo pregassi ed insistessi ripetutamente perché molti morivano lì né era possibile trasportarli. Fu l’unica volta che impartii l’assoluzione in massa prima che i soldati balzassero al combattimento fuori trincea. Era il pomeriggio del 16 luglio. 4° La battaglia di Pièlungo durante la ritirata delle truppe italiane il 5e 6 novembre 1917 nella quale si distinse ma ne uscì decimato il battaglione Gemona per incappare nella prigionia. Tragico più di ogni altro combattimento fu l’inverno 1916 – 17 per l’imperversare della neve e le pericolosissime valanghe sotto le quali perirono molti soldati specialmente bersaglieri e fanti i quali non erano avvezzi alla montagna. Accorsi ogni volta che m fu possibile con le squadre salvatrici, per estrarre i viventi e per amministrare i Sacramenti ai moribondi o di breve morti. Mio compagno indivisibile in questi salvataggi fu il Dr. Salvo di Roma. Quattro volte l mia S. Messa fu bersaglio diritto dell’artiglieria nemica. La prima volta nel settembre 1915 mentre celebravo alla fanteria del 4° Rgt., presso la sella Cianalot, vi rimase ferito un fante. La seconda volta al M. Pipar il 1917, aveva appena ripiegato nella cassetta l’altare e gli alpini, circa 70, dopo assistito la messa – durante la quale per sentirmi indisposto provvidenzialmente non mi ero attardato a predicare – s’erano di poco discostati dalla roccia dietro la quale avevo celebrato, che un proiettile da 150 scoppiava proprio nel posto dove io tenevo i piedi celebrando. Se la S. Messa si fosse prolungata di due minuti ben pochi ci saremmo salvati. Evidentemente il nemico aveva osservato il nostro assembramento e ci aveva tirato con precisione sbalorditiva. La terza volta sul Monte Canizza il 1917 s’erano raccolte due intere compagnie di alpini, la 69a e la 636 mitragliatrici, per ascoltare la S. Messa. Il cielo era coperto né il nemico poteva osservarci. Ma esso aveva saputo dai fonogrammi intercettati , l’ora ed il sito della Messa. Ero al Gloria che Schnarpells e granate tastano il terreno intorno e s’avvicinano all’assembramento. Accortomi del pericolo faccio ritirare i soldati in una galleria di salvataggio a circa 100 metri dalla quale potevano vedermi ed ascoltare la messa che io continuai fermo sul posto. Di lì a poco i tiri si

avvicinano, le palle di Schnarpells mi fischiano sotto il tavolo dell’altare e tra le gambe, una granata s’interra a 5 metri senza scoppiare. Mi pareva ad ogni istante di sentirmi scorrere il sangue lungo le gambe e di vedermi schiantato con tutto l’altare, ma riuscii a dominarmi sufficientemente per finire la S. Messa e poi raggiungere i  soldati nella galleria e far loro la predica. Fu quello il punto più vicino alla morte che toccai in 28 mesi di trincea. Simile a questa fu pure l’ultima Messa che celebrai in Val Dogna, precisamente in Val Bruna sotto la Sella Sompdogna  ai bersaglieri il 24 ottobre 1917.

Ingresso truppe austroungariche

 

 

Nella notte dal 27 al 28 ottobre alle ore 2 il battaglione iniziò la ritirata dal Mittagskofel e deal Montasio sullo Schenone e sul Quel Beretta (il 28) su Dogna  Chiusaforte, Resiutta, Carnia (il 29) fungendo da retroguardia. Essendo pratico dei luoghi per le mie peregrinazioni antecedenti riuscii utile in diversi frangenti al comando. Il 29 sera il battaglione, a mala pena scampato dalla cattura, ripiegò sulla riva destra del Tagliamento e precisamente a Verzegnis dove io raggiunsi la famiglia , che persuasi a partire profuga per l’Italia. Partirono infatti la mamma, cinque sorelle ed il fratello minore Graziano il 3 novembre e io li accompagnai alla Sella Chianzutan e poi ritornai in casa col proposito di custodirla fino a quando vi fosse rimasto il battaglione che alle dipendenze del Colonnello Cavarzerani difendeva la costa destre del Tagliamento da Villa di Verzegnis a Davaro. Ma il 4 novembre mattina ricevemmo l’ordine di ritirarci per l’argine e io dovetti abbandonare la casa ad estranei?. A Sella Chianzutan ritrovai la famiglia che non potendo più passare era ritornata indietro e demmo l’ultimo saluto! IL 5 arrivammo a S. Francesco dove il battaglione fu subito mandato contro il nemico che aveva occupato Pielungo.”””

 

Dopo mesi e mesi di una guerra di posizione, gli effetti dell’offensiva austriaca a Caporetto investirono anche questo fronte. La notte fra il 27 e 28 ottobre 1917, il battaglione Gemona si ritirò dalla Val Dogna e a tappe successive giunse sino a Verzegnis, e da lì sino al luogo della resa: il Monte Pala nei pressi di Clauzetto.

Alle quattro della mattina del 6 novembre ufficiali e soldati furono disarmati e condotti in prigionia. Dopo 11 giorni di marcia forzata sotto le intemperie, patendo fame e freddo, attraversando, Forgaria, Gemona, Udine, Cividale, Tolmino, giunsero al luogo di caricamento su carri ferroviari adibiti al trasporto dei cavalli: era il 15 novembre 1917.

Il viaggio per Kleinmünchen (nei pressi della città austriaca di Linz) fu orribile e durò tre giorni, in questo campo, ove morivano per fame dalle 30 alle 40 persone al giorno, don Boria con altri suoi confratelli Cappellani militari, vi restarono sino al venerdì santo del 1918.

In quella data furono trasferiti a Josefstadt in Boemia. Il 28 ottobre la folla di quella cittadina sfondò i cancelli del campo, mettendo in fuga guardie e relativo comando e portarono i prigionieri in trionfo sino ad un’altra cittadina vicina, per assistere alla cerimonia della proclamazione della Repubblica Ceca.

Finalmente il 28 novembre don Boria partì per l’Italia, il 29 fu al campo di raccolta di Domegliara ed il 30 venne ricoverato con la “spagnola”  (che superò felicemente) all’ospedale di Verona. Rimessosi, il 18 dicembre, si presentò al Vicario Generale del Vescovo da campo, che lo assegnò, sempre come Cappellano militare, all’ospedale militare di Milano. Il 15 marzo, su richiesta dell’arcivescovo di Udine, veniva posto in congedo dall’autorità militare.

Il 17 giunto a Udine e si presenta all’arcivescovo che lo ricevete in giardino e tout – court, gli propose di assumere la curia di Pontebba. «Voi siete avvezzo – gli disse – a dormire sotto la tenda ed a combattere in trincea, lassù ora ho bisogno di uno così. Intanto v’andate come Economo Spirituale, poi aprirò il concorso e concorrerete. Siate certo che sarete il solo concorrente!».

Fece alcune difficoltà, non contro la designazione di Pontebba perché questa, gli era già entrata nel cuore, ma per la sua impreparazione, per le strettezze finanziarie del momento, per il timore della solitudine, ma S.E. le considerò difficoltà d’ordine accademico, lo condusse negli uffici della Curia e stese egli stesso il decreto di nomina (17 marzo) raccomandandogli di non tardare a mettersi in comunicazione con l’Abate di Moggio Vicario Franco e di raggiungere la sede.